Appello alla calma da parte dei leader occidentali dopo l’esecuzione del religioso sciita

 

di

Najmeh BOZORGMEHR – Teheran

Simeo KERR – Dubai

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Manifestanti iraniani protestano contro le esecuzioni davanti all’Ambasciata saudita a Teheran sabato notte 

 

I leader occidentali hanno invitato l’Arabia Saudita e l’Iran ad abbassare i toni in seguito alle nuove tensioni scoppiate nel fine settimana tra le due potenze mediorientali e che rischiano di degenerare in un violento conflitto settario all’interno della regione.

Lo scorso sabato l’Arabia Saudita ha eseguito la condanna a morte di 47 persone (tra cui il famoso attivista politico e religioso sciita Sheikh Nimr al-Nimr) accusate di pianificare presunte azioni terroristiche, provocando accese manifestazioni presso l’ambasciata saudita a Teheran.

Gli Stati Uniti, l’ONU e l’Unione Europea hanno condannato le esecuzioni compiute dal regno saudita e invitato i paesi circostanti a evitare ulteriori escalation di tensioni religiose.

L’esecuzione del religioso sciita rischia di alimentare una battaglia di potere con l’Iran, in particolare in Siria e in Iraq, che si accusano a vicenda di incoraggiare una guerra settaria tra musulmani sunniti e sciiti.

Gli appelli dell’Occidente sono arrivati nel momento in cui il supremo leader iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato che l’Arabia Saudita affronterà la “vendetta divina” per il “sangue versato ingiustamente”, (riferendosi a Nimr) e ha invitato il mondo, compresi i paesi islamici, a reagire alle esecuzioni di sabato.

Decine di manifestanti iraniani hanno assaltato l’Ambasciata saudita a Teheran e hanno appiccato un incendio, dopo che il Corpo delle Guardie della Rivoluzione aveva promesso “ una dura vendetta nel breve periodo” che avrebbe “portato al collasso” lo Stato saudita.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha dichiarato che l’uccisione di Nimr rischia di “esacerbare le tensioni settarie, in un momento in cui invece dovrebbero essere ridimensionate” e ha ribadito la necessità che i leader della regione “moltiplichino i loro sforzi per contenere le tensioni locali”.

Il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon ha riferito il suo “profondo turbamento” alla notizia delle esecuzioni, affermando allo stesso tempo che le Nazioni Unite “condannano i violenti attacchi dei manifestanti all’Ambasciata saudita a Teheran”.

Federica Mogherini, Alto Rappresentante degli Esteri dell’Unione Europea, ha affermato che il caso  Nimr ha sollevato delle serie preoccupazioni “sul rispetto dei più basilari diritti civili e politici” e potrebbe avere delle “conseguenze pericolose” nella regione.

Il Presidente centrista dell’Iran, Hassan Rouhani, ha criticato i sauditi per quella che ha definito un’azione “non islamica” che potrebbe aver alimentato ulteriormente il terrorismo, oltre ad aver “sporcato ancora di più l’immagine dell’Arabia Saudita nel mondo”.

Allo stesso tempo, il governo iraniano ha cercato di prevenire un’ulteriore escalation di violenze invitando i manifestanti a rispettare l’immunità diplomatica e a non radunarsi davanti all’Ambasciata saudita, situata nel nord est della città santa di Mashhad.

L’agenzia di stampa Tasnim, vicina al Corpo delle Guardie della Rivoluzione, ha riferito che durante gli attacchi non era presente nella sede diplomatica alcun membro dello staff saudita. L’agenzia ha anche smentito le voci secondo cui l’Iran fosse in procinto di evacuare la sua Ambasciata a Riad.

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale saudita, le condanne sono state eseguite in 12 siti differenti all’interno del paese e nella dichiarazione rilasciata in seguito si riporta che gli accusati (45 sauditi , un egiziano e un ciadiano) sono stati dichiarati colpevoli di pianificare attentati terroristici contro sauditi , stranieri, diplomatici, personale di sicurezza e impianti.

In base alle dichiarazioni di alcuni attivisti, 43 dei 47 giustiziati erano membri o simpatizzanti di al-Qaeda mentre gli altri quattro erano sciiti. Molte delle accuse erano relative ad attacchi terroristici che ebbero luogo agli inizi di al-Qaeda, circa un decennio fa.

Le accuse riportate sembrano inoltre far riferimento ad azioni precedentemente imputate a Nimr e cioè “incoraggiare ad aprire il fuoco contro le forze di sicurezza e a lanciare bombe molotov”.

Gli attivisti sciiti hanno smentito che Nimr fosse mai stato coinvolto in azioni di resistenza violenta.

 

 

Pubblicato sul quotidiano “Financial Times” edizione cartacea in data 04/01/2016, traduzione dall’inglese all’italiano.

 

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Alabadi: 2016 anno della fine del Daesh in Iraq

 

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Le forze dell’esercito issano la bandiera irachena sul principale complesso governativo di Ramadi

Il Presidente del Consiglio iracheno Haydar Alabadi ha dichiarato che il 2016 sarà l’anno della vittoria definitiva sull’Organizzazione dello Stato Islamico in Iraq.

Alabadi ha pronunciato queste parole durante un discorso mandato in onda dalla televisione irachena dopo l’annuncio che l’esercito iracheno aveva ripreso il controllo della città di Ramadi, situata nell’est del paese.

Alabadi ha inoltre affermato: “ se il 2015 è stato l’anno della liberazione, allora il 2016 sarà l’anno della vittoria definitiva e della fine della presenza del Daesh sul territorio iracheno e su tutta l’area della Mesopotamia”, aggiungendo che “siamo sul punto di liberare Mousul e di dare quindi il colpo di grazia al Daesh”.

L’esercito iracheno aveva già annunciato di aver ripreso il controllo della città di Ramadi caduta a maggio nelle mani dell’ISIS, ottenendo così una prima importante vittoria sull’Organizzazione, che però controlla ancora vaste regioni dell’Iraq e della Siria.

Una vittoria epica

Il Generale di Brigata Yahya Rasool Alzabadani, portavoce del comando delle operazioni congiunte dell’esercito iracheno, ha dichiarato che le forze irachene hanno portato a termine una vittoria “epica” e che la bandiera irachena è stata issata sul principale complesso governativo della città.

Il Presidente francese Francois Hollande, tramite il suo ufficio, si è congratulato con Alabadi e le forze irachene per la liberazione di Ramadi, “la più importante vittoria dall’inizio delle ostilità con l’organizzazione terroristica. Un passo importante per il ripristino dell’autorità in Iraq”.

Alcuni rapporti indicano comunque che ci sono ancora alcune sacche di resistenza in città.

La riconquista di Ramadi viene considerata una sconfitta pesante per l’ISIS, che ne aveva preso il controllo lo scorso maggio, con una schiacciante vittoria sull’esercito iracheno.

Le forze irachene combattono da settimane per riconquistare la città e nella giornata di domenica sono riuscite a ripristinare la sede di governo locale, cacciando o uccidendo i miliziani dell’ISIS e gli attentatori suicidi che si nascondevano negli edifici.

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Le forze irachene sono impegnate da diverse settimane nei combattimenti per la riconquista della città

Nonostante l’annuncio della vittoria, il Generale Ismail Almahlawi, a capo delle operazioni ad Al Anbar, ha affermato che le forze dell’ISIS controllano ancora alcune aree della città, come riportato dall’agenzia di stampa Associated Press.

Le operazioni per la riconquista della città di Ramadi, situata a circa 90km dalla capitale Baghdad, hanno preso il via all’inizio del mese di novembre e sono state supportate da raid aerei compiuti dalle forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti. L’intervento è proceduto però piuttosto a rilento, soprattutto a causa della decisione del governo di non avvalersi dell’aiuto delle forze di mobilitazione popolare che avevano partecipato attivamente alla riconquista della città di Tikrit, a maggioranza sunnita, proprio per evitare tensioni confessionali.

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Pubblicato sul sito “BBC Arabic” in data 28/12/2015, traduzione dall’arabo all’italiano.

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Yemen: le parti politiche si accordano sull’istituzione di un Consiglio di transizione

Il Consiglio di transizione avrà l’autorità di legiferare su questioni relative al completamento della fase di transizione.

United Nations' Yemen envoy Benomar addresses a news conference in Sanaa

Jamal Benomar

Dubai- canale Al Arabiya

L’inviato delle Nazioni Unite in Yemen Jamal Benomar ha reso noto che le parti politiche del paese hanno raggiunto un accordo sull’istituzione di un Consiglio Nazionale composto dal Parlamento nella sua forma attuale e da un Consiglio del Popolo costituito invece dalle diverse parti politiche. Questo accordo mantiene dunque in vita il Parlamento e lo affianca a un “Consiglio di Transizione del Popolo” composto da 250 membri non rappresentati in Parlamento, secondo le seguenti proporzioni: 50% indipendentisti del sud, 30% donne, 20% giovani.

Il Consiglio Nazionale  avrà l’autorità di legiferare su questioni relative alla fase di transizione, potrà votare la fiducia al Governo, approvare il bilancio pubblico e decidere l’eventuale dichiarazione dello stato di emergenza.

Questo provvedimento viene deciso in seguito alla presa del potere da parte degli Houthi sciiti che ha causato il mese scorso le dimissioni del Presidente yemenita Abd Rabbih Mansour Hadi e la paralisi di molte istituzioni dello Stato.

Pubblicato sul sito “Alarabiya.net” in data 20/02/2015, traduzione dall’arabo all’italiano.

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Stima per il 2035: 68 milioni di malati di diabete nel mondo arabo

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Nel corso dei lavori della Terza Conferenza sul Diabete in Medio Oriente, organizzata nell’ambito della Fiera Arab Health tenutasi a Dubai, è stato segnalato l’allarmante aumento dei casi di diabete nel mondo arabo, considerando anche che questa malattia è la terza causa di morte a livello mondiale.

Secondo i numeri forniti dai partecipanti alla conferenza, ogni 6 secondi una persona muore per questa malattia che colpisce più di 382 milioni di persone, con una spesa sanitaria di 612 milioni di Dollari all’anno per curare sia la malattia stessa che le complicazioni cliniche da essa causate.

Per quanto riguarda il solo mondo arabo, il numero dei malati di diabete raggiunge oggi gli 8,36 milioni e gli esperti prevedono che arriverà a 68 milioni nel 2035, sottolineando l’impellente necessità di terapie sicure ed efficaci e il bisogno di incrementare il dialogo medico-paziente nelle fasi iniziali della malattia, strumento fondamentale per trattare in modo più efficace il diabete di tipo 2.

Nel corso dei lavori della conferenza sono stati presentati dei casi clinici di diabete di tipo 2 e dai risultati preliminari di una ricerca condotta a livello mondiale è emersa l’importanza fondamentale della comunicazione tra medico e paziente nelle fasi iniziali della malattia, dal momento che la persona diabetica si ritrova ad affrontare una vasta gamma di sfide che si traducono nella necessità di assumere nuovi farmaci e cambiare completamente il proprio stile di vita quotidiano, il che potrebbe causare nel paziente malessere e disturbi mentali.

Il Dott. Abdulrazzak Al Madani, endocrinologo e direttore della “Emirates Diabetes Society”, ha parlato di nuove terapie che potrebbero contribuire a tenere sotto controllo i livelli di  glicemia utilizzando inibitori dell’enzima dipeptidil-peptidasi che hanno come caratteristica distintiva l’ escrezione non renale.

Il Dott. Al Madani ha poi puntualizzato che queste terapie non richiedono alcun monitoraggio o modifica di dosaggio nel corso del trattamento dei pazienti con diabete di tipo 2 colpiti da insufficienza renale o epatica , oltre al fatto che l’utilizzo di questi farmaci porta a una drastica riduzione dei livelli di zucchero nel sangue.

Il diabete di tipo 2 risulta essere il più diffuso e può portare, in alcuni casi, a complicanze croniche come malattie cardiovascolari, malattie renali ed epatiche e cecità.

Il Dott. Saud Al Safri, primario di medicina interna e direttore del Centro di Diabetologia dell’Arabia Saudita ha riferito in merito all’esistenza di nuovi farmaci la cui escrezione può avvenire per via biliare o intestinale e quindi non renale; questa caratteristica permette l’utilizzo di tali farmaci anche a chi soffre di insufficienza renale o epatica.

Pubblicato sul sito “Ahram” in data 09/02/2015, traduzione dall’arabo all’italiano

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Al via i lavori della conferenza delle parlamentari arabe e africane presso la Lega Araba

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Ahmed Bin Mohammed Aljarwan, Presidente del Parlamento Arabo

Hanno preso il via oggi (ieri per chi legge, n.d.t.) presso la sede del Segretariato Generale della Lega Araba i lavori della conferenza convocata per rafforzare le relazioni tra le parlamentari provenienti dal mondo arabo e dall’Africa, con il patrocinio dell’Associazione dei Senati, Shura e Consigli Equivalenti dell’Africa e del Mondo Arabo e con la partecipazione del primo consigliere Ines Mekkawy, direttrice del Dipartimento per la donna, l’infanzia e la famiglia presso la Lega Araba, Ahmed Bin Mohammed Aljarwan, Presidente del Parlamento Arabo, Abdul Wasi Yusuf Ali, Segretario Generale dell’Associazione dei Senati, Shura e Consigli Equivalenti dell’Africa e del Mondo Arabo, Dott. Abdullah Hassan Mahmoud, delegato permanente presso la Lega Araba per la Somalia, Dott. Essam Sharaf, ex Presidente del Consiglio dei Ministri egiziano.

Il Primo Consigliere Ines Mekkawy, direttrice del Dipartimento per la donna, l’infanzia e la famiglia presso la Lega Araba, ha ricordato con piacere che la Lega Araba ospita questa conferenza in concomitanza con la celebrazione del Giornata della donna araba e che lo scopo della stessa è di attuare l’accordo di partenariato raggiunto durante il terzo vertice arabo-africano tenutosi in Kuwait nel 2013 per rafforzare la cooperazione e per incoraggiare l’emancipazione delle donne dal punto di vista economico e politico.

Nel corso del suo intervento, Mekkawy ha espresso la speranza che la donna egiziana possa occupare in Parlamento una parte considerevole dei posti che saranno assegnati con le prossime elezioni anticipate, sottolineando come le donne in Algeria e in Tunisia occupino rispettivamente il 31% e il 31,5% dei seggi nei propri Parlamenti nazionali. La direttrice ha poi fatto riferimento al Ruanda, indicando come in quel paese ci sia la più alta percentuale di donne in Parlamento a livello mondiale (il 63%), affermando inoltre l’importanza di rafforzare le relazioni tra le parlamentari arabe e africane.

La direttrice ha tenuto a precisare che quando la donna entra in Parlamento non si cura solo di questioni prettamente “femminili” come spesso si sente dire: essa si occupa dei problemi e degli interessi del paese, tenendo presente che le donne nei paesi arabi e africani rappresentano più del 50% del totale della popolazione.

Nel corso del suo intervento, Mekkawy ha fatto riferimento alla Dichiarazione del Cairo sulla donna araba, emanata per monitorare l’attuazione dei punti della Dichiarazione di Pechino anche dopo il 2015, nel rispetto dei valori condivisi dai paesi arabi e per emancipare la donna economicamente e politicamente, combattendo le discriminazioni e la violenza sulle donne.

Il Presidente del Parlamento Arabo Aljarwan, dal canto suo, ha sottolineato il ruolo fondamentale giocato dall’Associazione dei Senati nel favorire la cooperazione e lo scambio reciproco di valori condivisi, propri della democrazia,  e nel garantire il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto in tutti i Parlamenti arabi e africani. Ciò contribuisce, infatti,  a realizzare la sicurezza e la pace in Africa e nel mondo arabo e concorre in modo positivo allo sviluppo e alla lotta alla povertà e alle carestie, oltre che al rafforzamento del ruolo della donna nell’ambito dello sviluppo globale del proprio paese.

Aljarwan, nel corso del suo intervento, ha affermato che il Parlamento Arabo attribuisce un‘importanza fondamentale al ruolo giocato dalla donna all’interno dei singoli parlamenti nazionali, esprimendo il desiderio che vengano davvero messi in pratica i principi dei diritti umani in generale e dei diritti della donna in particolare: essa rappresenta infatti più della metà della popolazione del proprio paese e ne è parte attiva dal momento che produce e provvede a informare e istruire “l’altra metà”.

Il Presidente ha poi affermato che il Parlamento Arabo è composto da 4 delegati per ognuno dei 22 paesi arabi membri, per un totale di 88 parlamentari e che lo statuto costitutivo prevede la necessità di avere una rappresentanza femminile. Le parlamentari sono 13, per una percentuale del 15,5% sul totale, tra cui due rappresentanti nell’Ufficio del Parlamento (il più alto organo del parlamento stesso), una con la carica di Primo Vice Presidente del Parlamento e l’altra di Presidente della Commissione per gli affari sociali e culturali e per la donna e i giovani (una delle quattro commissioni in seno al Parlamento.

La partecipazione delle donne al Parlamento Arabo è una parte importante del loro contributo ai progetti di sviluppo politico dei propri paesi e al rispetto dei diritti umani, sociali e culturali e ciò riflette in diversi campi come i diritti delle donne nel mondo arabo e nel continente africano inizino a essere più riconosciuti.

Il Presidente ha sottolineato come il Parlamento Arabo inviti a eliminare le barriere che impediscono alla donna di ricoprire il suo giusto ruolo nei processi decisionali dei paesi arabi o africani di provenienza e a garantire che la donna abbia accesso a posizioni pubbliche secondo le sue competenze e senza discriminazioni, incoraggiando a includere nelle Costituzioni e nei corpi legislativi dei paesi arabi e africani adeguate norme a sostegno dei diritti politici della donna.

Aljarwan ha indicato come il Parlamento Arabo e gli enti dedicati alla donna nell’ambito della Lega degli Stati Arabi dovrebbero pubblicare un rapporto annuale dettagliato sulla condizione della donna araba, controllando l’evoluzione delle legislazioni nazionali all’interno dei paesi arabi e il reale impegno nell’attuazione di queste normative per quanto riguarda i diritti della donna.

Il Presidente del Parlamento Arabo ha invitato i media a impegnarsi a raccontare i fatti con professionalità, al fine di eliminare l’immagine negativa e falsa che viene data della donna araba e africana, immagine che la danneggia, la indebolisce e compromette la sua capacità di farsi carico, proprio come gli uomini, degli oneri della società.

Aljarwan ha chiesto poi di non dimenticare il pesante impatto che hanno sulla donna i vincoli familiari: la famiglia è, infatti, il primo nucleo in cui il neonato cresce, si confronta e acquisisce buone o cattive abitudini, dove assumerà determinati comportamenti a seconda delle proprie inclinazioni naturali, dell’educazione ricevuta e dell’ambiente familiare in cui vive. L’invito è stato quello di lavorare per evitare all’interno degli ambienti familiari situazioni in cui i bambini possano trovarsi coinvolti nella rete di gruppi estremisti o portatori di idee oscurantiste. Bisogna dunque che le famiglie seguano i propri figli e li tengano sotto controllo,  soprattutto alla luce dell’enorme diffusione dei social network a cui i bambini accedono a tutte le età.

Il Presidente del Parlamento Arabo ha sollecitato i vari governi a istituire programmi e piani informativi che evidenzino l’importanza del ruolo della donna nella società e che servano a sensibilizzare la stessa sui propri diritti e doveri, sostenendo la sua partecipazione attiva alla vita politica, sia come elettrice che come candidata, consentendole  di impegnarsi nelle attività sindacali e nelle altre organizzazioni della società civile.

Aljarwan, infine, ha rivolto un appello a tutte le organizzazioni arabe che si occupano dell’infanzia, sia appartenenti alla Lega Araba che semplicemente a essa collegate, affinché lavorino per seguire i bambini arabi che abbiano perso i propri cari a causa di guerre o conflitti.

Abdullah Hassan Mahmoud, delegato permanente presso la Lega Araba per la Somalia ha evidenziato, nel corso del suo intervento, l’importanza di rafforzare le relazioni arabo-africane a servizio della causa comune e di aumentare gli investimenti condivisi, in particolare tenendo conto del fatto che il mondo arabo possiede le risorse finanziarie e il continente africano possiede le materie prime necessarie per avviare grandi attività industriali a servizio di entrambe le parti. Allo stesso modo ha asserito che i lavori della conferenza siano volti al sostegno e al rafforzamento delle relazioni tra le parlamentari delle due aree, ricordando che si tratta di un passo che si attende da tempo e che potrà contribuire all’arricchimento dei rapporti arabo-africani.

Mahmoud ha invitato a istituire una commissione arabo-africana coinvolgendo tutti i settori della cooperazione, tra cui in particolare le relazioni economiche e lo sviluppo degli investimenti arabi, ricordando come l’Occidente abbia sfruttato le ricchezze del mondo arabo e del continente africano; è questo il momento di istituire dei progetti comuni e utilizzare le risorse dell’Africa a favore delle due regioni.

Abdul Wasi Yusuf Ali, Segretario Generale dell’Associazione dei Senati, Shura e Consigli Equivalenti dell’Africa e del Mondo Arabo ha affermato l’importanza della conferenza per rafforzare la cooperazione tra le due parti e consentire uno scambio di know-how tra le donne arabe e le loro colleghe africane, elogiando il fatto che la percentuale di partecipazione delle donne in Parlamento sia molto alta nei paesi africani.

Nel corso dei tre giorni della conferenza si discuterà di progetti specifici per avvicinare il mondo arabo al continente africano, degli strumenti da adottare e dell’emancipazione politica ed economica della donna in entrambe le aree.

Pubblicato sul sito “Youm7” in data 08/02/2015, traduzione dall’arabo all’italiano.

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Il nome di Sajida Al Rishawi, “la kamikaze di Amman”, torna alla ribalta

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Sajida Al Rishawi è stata condannata a morte dal Tribunale giordano ma la sentenza non è ancora stata eseguita

Il nome di Sajida Al Rishawi è tornato sotto i riflettori dieci anni dopo il fallito attentato dinamitardo ad Amman per il quale era stata condannata alla pena capitale. Tuttavia, la corda che era stata preparata per essere avvolta attorno al collo della donna sembra adesso tendersi in aiuto dell’ostaggio giapponese nelle mani dell’ISIS.

Dopo circa dieci anni di oblio all’interno del carcere femminile di Al Juwayyidah (a sud della capitale giordana Amman)  dove era stata rinchiusa a seguito di un fallito attentato suicida in un hotel di Amman nel 2005, condannata alla pena capitale, Sajida Al Rishawi è nuovamente chiamata in causa e questa volta potrebbe presentarsi per lei un nuova opportunità, dal momento che alcuni segnali indicano che adesso potrebbe salvarsi dall’applicazione di questa sentenza.

Il nome di Sajida Al Rishawi ha iniziato a circolare da sabato, dopo l’annuncio dell’esecuzione di uno dei due ostaggi giapponesi rapiti in Siria dall’ISIS. Lo Stato Islamico, infatti, ha posto come condizione per il rilascio dell’altro ostaggio la liberazione dell’attentatrice da parte delle autorità giordane.

Gli esperti  ritengono che la scelta  dell’ISIS di attribuire alla Giordania il pagamento del prezzo dell’ostaggio giapponese sia avvenuta per due ragioni: la prima è che Amman ha interesse ad aprire un canale di negoziazione con l’ISIS che detiene il pilota giordano Muadh Kassasbe da quando il suo aereo è precipitato nella regione siriana di Raqqa il mese scorso. La seconda ragione è che Tokio ha scelto la propria Ambasciata ad Amman come sede della sala operativa, aperta per seguire la vicenda dei due ostaggi e lavorare al loro rilascio.

Di nuovo sotto i riflettori

Al Rishawi viene nuovamente chiamata in causa a distanza di poco tempo: il suo nome, infatti, era già stato fatto in occasione del sequestro da parte dell’ISIS del pilota Kassasbe, quando la sua liberazione era stata richiesta come contropartita per permettere ad Amman di trattare  il rilascio del pilota.

La donna proviene da una famiglia legata all’organizzazione Al-Qaida in Mesopotamia, la quale combatte le forze americane dall’invasione dell’Iraq nel 2003 e, in modo ancora più fiero, dal giugno del 2006 quando il leader Abu Musab Al Zarkawi perse la vita  in un raid americano.

L’attentatrice è sorella di Thamer Moubarak Atrous Al Rishawi, soprannominato in Iraq “Amir Al Anbar” (Principe del governatorato iracheno di Al Anbar, N.d.T.), rimasto ucciso nel 2004 nella battaglia di Falluja. Un altro suo fratello è morto in seguito a scontri con le forze americane, stessa sorte per il marito della sorella che sarà citato in seguito.

Il nome di Sajida Al Rishawi è apparso per la prima volta due giorni dopo un attentato compiuto dall’organizzazione Al-Qaida in Mesopotamia, nel corso del quale tre esplosioni simultanee colpirono la città di Amman la sera del 9 novembre 2005 e causarono la morte di circa 60 persone, una ventina delle quali nel corso di una festa nuziale. Nell’attentato rimase ucciso il marito della donna, Ali Al Shamari, mentre lei non riuscì ad attivare il detonatore e si ritrovò in fuga con i superstiti di quel matrimonio macchiato di sangue.

L’arresto

Le notizie sulle circostanze che portarono alla cattura di Al Rishawi sono discordanti: alcune fonti giordane affermarono che fosse stato lo stesso Al Zarqawi a decidere, inavvertitamente,  del destino della donna, mentre altre fonti indicarono che si fosse arrivato a lei grazie alle indagini condotte dalle autorità giordane.

Al Zarqawi,  in un messaggio audio registrato il giorno successivo alle esplosioni, aveva rivendicato gli attentati di Amman e aveva fatto i nomi degli esecutori, indicando anche Sajida Al Rishawi, il cui cadavere però non era mai  stato rinvenuto.

Queste affermazioni di Al Zarqawi sulla presenza di Al Rishawi e il fatto di non averne rinvenuto il cadavere portarono le autorità giordane a cercarla, anche se lei si era già rifugiata presso la famiglia del marito di sua sorella, Nidal Arabiyat, nella città di Al Salt. Il cognato era rimasto ucciso nel 2003 in Iraq e Sajida non aveva informato la famiglia Arabiyat che ci fosse un collegamento tra lei e gli attentati. Ciononostante, le ricerche portarono ben presto al suo arresto.

Sajida Al Rishawi apparve sugli schermi della tv giordana il 13 novembre 2005. Sembrava piuttosto tranquilla mentre raccontava di come lei e il marito fossero entrati in Giordania con passaporti falsi, sottolineando che il suo matrimonio fosse stato semplicemente “di facciata”.

La cosa interessante del racconto di Al Rishawi è che gli attentatori (lei compresa) avrebbero reperito gli esplosivi e le cinture direttamente ad Amman e non li avrebbero introdotti dall’Iraq.

La donna aggiungeva poi che il marito, Al Shamari, l’avrebbe addestrata ad Amman su come usare le cinture esplosive e le avrebbe chiesto, dopo essere entrata nell’hotel designato per lei, il  Radisson Sas Hotel, di posizionarsi in un angolo mentre lui si sarebbe posizionato in quello opposto. Tuttavia, quando il marito si fece esplodere, la donna non riuscì ad azionare la sua cintura esplosiva e si ritrovò tra la folla in fuga.

Esecuzione rimandata

Nel corso delle prime udienze davanti al Tribunale di Sicurezza dello Stato nel mese di aprile 2006, Al Rishawi sedeva nel banco degli imputati e sembrava molto dimagrita e piegata su se stessa, teneva le mani sul viso e manteneva questa posizione fino all’ingresso della Corte.

La prima udienza durò solo cinque minuti durante i quali il giudice le rivolse alcune domande di routine per accertare le sue generalità. Quando la donna dichiarò di essere nubile, il giudice le rispose che dalle inchieste condotte risultava che lei fosse sposata con l’altro attentatore Al Shamari. Lei affermò nuovamente di essere nubile perché il suo matrimonio era fittizio e aveva il solo scopo di mettere in atto l’operazione.

Un avvocato le fu assegnato dalla Corte  dopo che il sindacato degli avvocati si era rifiutato di fornirle assistenza legale. Le udienze si sono susseguite negli anni e  la donna fu condannata alla pena capitale. Nessuno si stupì della sentenza , in seguito ratificata anche dalla Corte di Cassazione Giordana.

A circa sette anni dalla condanna alla pena capitale, l’esecuzione della sentenza è rimasta in sospeso per motivazioni oggettive tra cui per esempio la moratoria alle esecuzioni capitali decisa dalla Giordania in risposta alle pressioni esercitate dalle associazioni per i diritti umani. Il destino di Al Rishawi è dunque nuovamente messo in discussione. La corda che era stata preparata per essere avvolta attorno al collo della donna sembra adesso tendersi in aiuto dell’ostaggio giapponese e forse anche del pilota Kassasbe.

Pubblicato sul sito “Al Jazeera” in data 25 gennaio 2015, traduzione dall’arabo all’italiano.

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Morto il re saudita Abdullah Bin Adbulaziz, giura il suo successore Salman

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Il Diwan reale saudita annuncia la morte del monarca, Re Abullah Bin Abdulaziz, all’età di 90 anni.

I canali televisivi sauditi hanno interrotto le trasmissioni nelle prime ore del mattino di venerdì per trasmettere l’annuncio, dato dal principe ereditario, della morte del re saudita le cui condizioni di salute erano peggiorate nelle scorse settimane a seguito di una polmonite.

La televisione saudita ha riportato che il principe ereditario Salman Bin Abdulaziz è stato investito del titolo di Re, succedendo così al defunto monarca.

Il  re saudita Salman ha nominato il principe Muqrin Bin Abdulaziz nuovo erede al trono, invitandolo ad accettare formalmente l’incarico prestando giuramento.

La preghiera funebre per la dipartita del sovrano inizierà dopo la preghiera del pomeriggio, mentre il giuramento si terrà dopo la preghiera della sera.

Leader schietto

Tra le prime reazioni alla notizia quella del Presidente degli Stati Uniti che ha fatto le condoglianze al popolo saudita e ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa di Re Abdullah, “un alleato fondamentale per gli Stati Uniti”.

Obama , nel suo comunicato, ha definito il Re saudita “un leader schietto, che non ha mai avuto paura di esprimere le proprie convinzioni”.

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Il Presidente Obama ha definito il Re saudita “un leader schietto, che non ha mai avuto paura di esprimere le proprie convinzioni”.  

Si legge ancora nel comunicato di Obama: “una di queste sue convinzioni era il credere fortemente all’importanza delle relazioni tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, a garanzia della sicurezza e della stabilità di tutto il Medio Oriente e delle regioni limitrofe”.

Il nuovo Re, Salman, ha 79 anni e negli ultimi tempi si era già fatto carico dell’amministrazione dello Stato, in seguito all’aggravarsi delle condizioni di salute di Re Abdullah. L’attuale re era stato investito della carica di Principe Ereditario e Ministro della Difesa nel 2012 e prima ancora era stato per cinquant’anni Emiro della regione di Riad .

Il nuovo erede al trono Muqrin Bin Abdulaziz, invece, fratellastro del re e prossimo a compiere 70 anni (classe 1945), è uno dei figli più piccoli (il trentacinquesimo) di Re Abdulaziz Al Soud, fondatore del Regno dell’Arabia Saudita.

In precedenza Muqrin aveva ricoperto alte cariche all’interno del Regno tra cui quella di “consigliere speciale” di Re Abdullah, di capo dei Servizi Segreti dal 2005 al 2012 e di membro dell’aeronautica militare saudita.

La successione

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L’erede al trono Salman Abdulaziz ha assunto il titolo di nuovo Re dell’Arabia Saudita, succedendo al defunto monarca Abdullah.

Re Salman ha invitato il Consiglio di Fedeltà della famiglia reale (commissione composta dai figli e dai nipoti di Re Abdulaziz Al Soud e che si occupa di designare il Principe Ereditario) a indicare l’Emiro Muqrin come erede al trono del paese.

Nel comunicato diramato dal Diwan reale si riferisce che “Sua Altezza Reale l’Emiro Salman, con il giuramento di fedeltà, ha assunto la carica di Re del paese secondo la Legge Fondamentale dell’Arabia Saudita e in base al secondo articolo dell’Ordine Reale, il quale prevede che Sua Altezza Reale Muqrin Abdulaziz Al Soud, nel caso in cui le posizioni di principe ereditario e di Custode delle Due Sacre Moschee (appellativo del Re dell’Arabia Saudita) restassero vacanti,  sia il successore al trono saudita

Nel comunicato si legge ancora che “i cittadini giureranno fedeltà al nuovo Custode delle Due Sacre Moschee Re Sultan Bin Abdulaziz e al Principe Ereditario Muqrin Bin Abdulaziz nel palazzo reale di Riad dopo la preghiera della sera di venerdì”.

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Il Re Abdullah era il tredicesimo dei 37 figli del Re Abdulaziz Al Saoud, fondatore del Regno dell’Arabia Saudita.

Re Abdullah, prima di ascendere al trono nel 2005, succedendo al defunto Re Fahad Bin Abdulaziz, aveva già ricoperto diverse cariche nell’ambito della famiglia reale saudita e  aveva di fatto iniziato a governare già dal 1996, subito dopo che  Re Fahad era stato colpito da un ictus. Precedentemente, nel 1962, era stato nominato capo della Guardia Nazionale dove aveva aumentato il numero delle forze e  rimodernato l’arsenale.

Dopo l’assassinio del Re Faysal nel marzo del 1975, il suo successore, Re Khalid, aveva confermato Abdullah al comando della Guardia Nazionale e gli aveva affidato la carica di Secondo Vice Presidente del Consiglio.

Nel 1982, dopo la morte di Re Khalid, l’Emiro Abdullah fu nominato erede al trono dal nuovo Re Fahad, il quale lo insignì anche della carica di Primo Vice Presidente del Consiglio.

Re Abdullah era nato presumibilmente nel 1924, anche se ci sono opinioni discordanti sulla sua data di nascita precisa, ed era il tredicesimo dei trentasette figli di Re Abdulaziz Al Soud, fondatore dello Stato dell’Arabia Saudita, che venne a mancare nel 1953.

Pubblicato sul sito “BBC Arabic” in data 23/01/2015, traduzione dall’arabo all’italiano.

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L’amore al tempo dell’ISIS

Residents rest by the Euphrates River in Raqqa, eastern Syria

L’organizzazione dello Stato Islamico il 12 gennaio 2014 ha ottenuto il pieno controllo sulla città di Raqqa, dopo feroci battaglie con l’Esercito siriano libero (FSA)  e presunte battaglie con il Fronte al Nusra e il movimento Ahrar al Sham , ritiratisi poi dalla città.

L’ISIS ha iniziato subito a imporre le proprie leggi arbitrarie e le proprie regole, terrorizzando il popolo con esecuzioni e arresti, imponendo il pagamento di tributi e la chiusura delle attività commerciali cinque volte al giorno durante gli orari della preghiera, imponendo dazi doganali e ulteriori balzelli sull’importazione e l’esportazione di merci. I civili non possono sottrarsi a queste regole: le pattuglie della polizia islamica Hisba vanno in giro alla ricerca di chi fuma o infrange altre leggi, mentre le pattuglie del battaglione Khansa  si occupano delle donne che violano le regole imposte dall’organizzazione in fatto di abbigliamento, oltre che le limitazioni a entrare a uscire dalla città.

Tuttavia, sotto questa coltre nera che incombe sulla città c’è un’altra vita, una vita del tutto proibita, una vita piena di vigore e fervore, una vita “nel nome dell’amore”.

Nel cuore dei ragazzi e delle ragazze di Raqqa c’è ancora speranza, c’è ancora un bagliore di luce.  I giovani innamorati si incontrano di nascosto nonostante tutti i vincoli e le limitazioni imposti dalle pattuglie dell’Hisba e del battaglione Khansa; il loro amore è così forte da permettere loro di trovare qualsiasi stratagemma per incontrarsi e per trascorrere insieme anche solo qualche minuto.

Il team del sito “Raqqa slaughtered silently” ha incontrato due giovani innamorati la cui storia può essere presa a esempio della realtà attuale nella città di Raqqa, Mahmoud di 26 anni e Zeina di 23, e ha posto loro alcune domande.

  • Da quanto tempo siete innamorati?

(sorridono)

M.: Siamo innamorati da circa due anni e mezzo, ci siamo conosciuti all’università e prima eravamo soliti incontrarci nel bar dell’università oppure in uno dei bar della città, altre volte nei parchi pubblici. Non abbiamo mai avuto alcun tipo di problema prima dell’occupazione da parte dell’ISIS, potevamo incontrarci ovunque volessimo.

  • Cosa è cambiato per voi dopo l’occupazione della città?

M.: Sono cambiate tante cose, prima potevamo vederci ovunque, adesso incontrare Zeina è quasi un suicidio perché le pattuglie dell’Hisba sono dappertutto, specialmente nei parchi pubblici. Se venissimo arrestati dovremmo subire le pene imposte dall’organizzazione. Se vieni sorpreso in un parco con una ragazza, infatti, ti viene richiesto di provare la sua identità; se scoprono che la ragazza non è un tua parente né tua moglie, tu vieni arrestato dall’Hisba mentre il battaglione Khansa arresta la donna,  che verrà poi punita a frustate.

  • Come fate a vedervi adesso?

Z.: E’ complicato. Io contatto Mahmoud su Whatsapp o su Facebook in modo da prendere accordi sul luogo dell’incontro (il più lontano possibile dall’Hisba e dal Khansa). Fornisco a Mahmoud alcuni dettagli per riconoscermi: per esempio posso dirgli che porterò con me una busta di colore rosso con il logo di una libreria. Facciamo così perché tutte le donne della città indossano il niqab e diventa quindi difficile distinguere una donna dall’altra.

  • E come fate a comunicare? Avete detto che parlarvi è molto pericoloso…

M.: All’inizio mi bastava qualche secondo per sentire la voce di Zeina e a individuarla anche nonostante il niqab. Ora ho elaborato uno stratagemma che mi permette di vederla più spesso: mio padre possiede un negozio di abbigliamento da donna e mi sono accordato con lui per aiutarlo. Così, mentre lui copre il turno pomeridiano, io lavoro in negozio al mattino…

(Zeina ride)

Z.: Sì, così io di tanto in tanto posso andare in negozio con la scusa di acquistare qualcosa e posso passare qualche minuto con lui…a volte riesco persino a sollevarmi il niqab dal viso! L’argomento è molto delicato e pericoloso…pensate che una volta il negozio era vuoto e io e Mahmoud stavamo chiacchierando quando improvvisamente è entrato un esponente dell’ISIS che però non si è accorto di noi. Ci siamo spaventati tantissimo!

  • Avete mai pensato a cosa potrebbe succedervi se dovessero arrestarvi?

Z.: Sì, ci abbiamo pensato tante volte, siamo consapevoli della pericolosità della situazione ma siamo anche convinti che i nostri sentimenti siano più forti e non permetteremo a nessuno di allontanarci. Nonostante tutto…stiamo vivendo un’avventura!

  • Cercavate di confortarvi a vicenda durante i bombardamenti in città?

M.: Certo. Dopo essermi sincerato delle condizioni della mia famiglia cercavo subito di contattare Zeina via Facebook. Più di una volta sono stato in ansia perché non mi rispondeva subito…

  • Quali sono i vostri progetti per il futuro? Pensate che rimarrete qui?

M.: Ormai sono stanco di questa situazione e penso che presto parlerò chiaramente alla mia famiglia dell’intenzione di sposare Zeina. Se ciò dovesse accadere, comunque, non resteremmo a Raqqa perché la vita in questa città è ormai insostenibile. Credo che ci trasferiremmo in Turchia.

I figli e le figlie di Raqqa vivono storie simili da quando l’ISIS ha assunto il pieno controllo della città, cercando di instillare tristezza e odio nei cuori del popolo. La storia di Mahmoud e Zeina non è che una delle centinaia di storie d’amore di questa città.

Tutti sperano adesso in un riscatto e, come dice il proverbio, “l’amore e la morte sono più intensi in tempo di guerra”.

Pubblicato sul sito “Raqqa slaughtered silently” in data 07/01/2015, traduzione dall’arabo all’italiano.

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Grazie ad Andrea Spinelli Barrile per la segnalazione!

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Le tradizioni matrimoniali più bizzarre del mondo arabo

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Il sito internet della tv Almustaqbal ha pubblicato un servizio sulle più strane usanze matrimoniali che, anche se limitate ormai a piccole aree rurali, vengono praticate per consuetudine, senza che abbiano necessariamente particolari implicazioni o significati.

Queste le tradizioni matrimoniali più strane nei paesi arabi:

Bahrain: all’inizio della cerimonia di nozze, l’ostetrica del villaggio prende un contenitore di coccio e lo mette al centro del cortile della casa. Gli sposi si siedono l’uno di fronte all’altra, mettono i piedi nel contenitore alluci contro alluci, e la sposa deve lanciare una monetina all’interno del contenitore;

Tunisia: nella città di Sfax, la sposa salta diverse volte su del pesce posato su un grande piatto, come auspicio per una buona sorte, mentre nella città di Bizerte la sposa si lega al piede un pesce, lo  trascina per alcuni metri  e infine ci salta sopra sette volte, assicurandosi di essere la prima poi a mangiarlo, per tenere lontani il male e l’invidia;

Marocco: la sposa, la notte prima delle nozze, rompe un uovo precedentemente dipinto con l’hennè su una parete della sua nuova casa;

Libano: alcune spose incollano dei ritagli di pasta sulla porta della loro nuova casa, come augurio per un futuro roseo;

Sudan: durante il ballo degli sposi, la sposa prova a lasciarsi cadere in terra mentre lo sposo prova a sorreggerla, subendo se non ci riesce lo scherno da parte degli invitati;

Emirati Arabi Uniti: è usanza nella tribù di As-Shohu che lo sposo corra verso casa della sposa, spogliandosi durante il percorso di alcuni abiti come per esempio del turbante;

Siria: lo sposo si reca a piedi a casa della futura sposa, accompagnato dai suoi amici;

Iraq: la donna nubile in cerca di marito scrive il proprio nome sulla suola delle scarpe di una sposa nel giorno delle nozze. Alcune famiglie della provincia di Diyala, invece, benedicono il talamo nuziale con l’urina di un bambino, come buon auspicio per l’arrivo di un figlio maschio;

Yemen: presso alcune tribù locali, lo sposo la notte delle nozze recita alcune preghiere, specifiche per tenere lontano il male;

Mauritania: i festeggiamenti in onore degli sposi non possono prendere il via prima che lo sposo esca dalla camera matrimoniale con in mano una candela accesa, simbolo che conferma la verginità della sposa.

Pubblicato sul sito ” Lahamag” in data 09/12/2014, traduzione dall’arabo all’italiano.

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Al-Qaida minaccia di uccidere un ostaggio americano in Yemen

441Sommers sequestrato da uomini armati a San’a nel settembre del 2013                   (immagine da Youtube)

L’organizzazione jihadista Al-Qaida nella Penisola Arabica ha concesso agli Stati uniti tre giorni di tempo per accettare le proprie richieste, minacciando in caso contrario l’esecuzione di un fotoreporter statunitense rapito in Yemen più di un anno fa.

L’organizzazione, in un comunicato video rilasciato sulla propria pagina Twitter e letto dal leader locale Nasser Bin Ali Al-Ansi, annuncia di concedere a Washington tre giorni di tempo per accettare le richieste già note (senza però specificare di quali richieste si tratti), in caso contrario l’ostaggio americano Luke Sommers andrà incontro al suo “inevitabile destino”.

Nel video Al-Ansi parla dei “crimini americani contro il mondo islamico”, riferendosi in particolare alle “incursioni delle truppe americane in Yemen come la recente operazione – fallita- di Hadramawt, che ha portato al martirio di tanti mujaheddin, senza contare il fatto che gli USA continuano a bombardare i mujaheddin con raid aerei”, citando i rapporti sulla collaborazione delle forze speciali americane con l’esercito yemenita per la liberazione di ostaggi sequestrati da Al-Qaida.

Nel video appare lo stesso Sommer, 33 anni, che in un appello chiede aiuto per porre fine alla sua detenzione.

Sommers ricorda che è passato più di un anno dal suo rapimento a San’a, implora un qualsiasi aiuto per tirarsi fuori da questa situazione e afferma di sentirsi in imminente pericolo di vita. Queste le parole del fotoreporter:  “ve lo chiedo in ginocchio, se c’è una qualsiasi cosa che possiate fare per liberarmi, vi prego, fatela adesso”.

Sommers è stato rapito da un commando armato nel settembre del 2013 a San’a.

Lo Yemen è un alleato fondamentale per gli Stati Uniti nella lotta ad Al-Qaida, dal momento che permette loro di utilizzare i droni sul proprio territorio per sferrare raid aerei .

Gli Stati Uniti considerano l’organizzazione jihadista Al-Qaida nella Penisola Arabica il ramo più pericoloso di Al-Qaida.

Pubblicato sul sito “Al Jazeera” in data 04/12/2014, traduzione dall’arabo all’italiano.

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